martedì 24 luglio 2007

Un fiore a otto petali - I

di Salvatore Calì

La Dea Nascente


Prima parte di due


Da diversi anni mi occupo della rinascente cultura della Dea intesa come un modo di essere, uno stato dell’anima e del cuore, che nasce da una riscoperta interiore delle qualità femminili del divino dentro e attorno a sè. Qualunque sia il nome che le passate culture ci hanno tramandato, queste qualità ci riportano a un profondo contatto con la Natura, con la sorgente della vita, con la sua radice-Madre: è la coscienza che pervade ogni atomo di questo magnifico pianeta. La Dea è il paesaggio. E il paesaggio non è una mera manifestazione fisica, ma consiste di piani sottili, invisibili ai nostri abituali cinque sensi: è coscienza incarnata, il corpo stesso della Dea, che si esprime e si manifesta anche a un livello spirituale ed emozionale.
È perciò possibile non solo vedere i luoghi come espressione fisica ed estetica (come “panorama”), ma è sentirli, intuirli, gustarne le sue qualità intime.

Questo personale percorso, mi ha portato ad incontrare l’artista e terapeuta della Terra, lo sloveno Marko Pogacnik, il quale usa delle metodologie “geomantiche”, dove l'arte, unita ad una profonda ricerca interiore e alla libertà del cuore, diviene forza immaginativa creativa, capace di dialogare con i "mondi sottili", per collaborare attivamente alla cura e alla rigenerazione di luoghi importanti per la salute del pianeta. Ho avuto l’opportunità di seguire i suoi seminari itineranti, che si sono svolti a Venezia negli ultimi quattro anni (organizzati e curati da Maurizio Martinelli), dedicati al riequilibrio del tessuto energetico della città d’acqua e al “risveglio delle sue qualità originarie”, come contributo alla pace sulla Terra.
Ed è stato proprio al ritorno da uno di questi seminari, che la “coscienza del viaggio”, vissuto come pellegrinaggio dentro di sé, mi ha ispirato un’intuizione: mi raccontava di una città sacra, fondata come tempio dedicato alla Dea: l’antica Medhelanon.


Un luogo “al centro”

Di Milano mi ha sempre affascinato la rotondità, lo svolgersi a cerchi concentrici, per circonvallazioni sempre più ampie, che ne fa una città dinamica, alla continua ricerca di un equilibrio tra le sue forze centrifughe d’espansione e la sua tensione all’interiorità, che si esprime in un movimento centripeto, verso un centro.
Milano ha un centro, dal quale sembra allargarsi una serie successiva di cerchi concentrici, come se la pianta dell’attuale città seguisse l’evolversi di un cromelech, di un antico cerchio di pietre, che faceva di questo luogo un centro sacro, un “ombelico del mondo” (un omphalos), un posto speciale, nel quale il Cielo confluisce nella Terra e la Terra si protende verso il Cielo, in un costante movimento respiratorio, che ne fa il motore energetico dell’organismo della Valle Padana, situata com’è, al centro geometrico del semicerchio della catena alpina.
L’origine stessa del suo nome é indizio esso stesso della sua sacralità. Pare derivi dal celtico Medhelan, che sta ad indicare un santuario, o luogo di perfezione “posto al centro”, che fu più tardi latinizzato in Medhelanon, poi Mediolanum e infine Milano.
Per quanto lontana possa essere la sua storia e per quanto possano essere state occultate nel tempo tracce della sua originaria natura, Milano dispiega il suo vero essere al cuore attento di chi la vuole ascoltare.

Bonvesin della Riva, alla fine del XIII secolo, nel De Magnalibus Mediolani (Le Meraviglie di Milano) ne decantava le lodi, che vedeva già manifeste nel nome latino MediOlanum: -la vocale centrale “o” è la più bella e degna, che con la sua rotondità evoca la forma circolare della città e la rotondità è simbolo di perfezione, la presenza delle cinque vocali ne dimostra la completezza-.
Continua Bonvesin: -Considerata in rapporto alla sua posizione, la nostra fiorentissima città è famosa perché situata in una bella, ricca e fertile pianura, dove il clima è temperato, abbonda di tutto quello che è necessario alla vita umana, posta com’è tra due fiumi equidistanti, il Ticino e l’Adda. È così ricca d’acque […] acque vive naturali, eccellenti a bere, salubri e così abbondanti in tutte le stagioni che in ogni casa, appena decente, si trova una fonte d’acqua viva-
Sembra quasi la descrizione di un’Eden e innegabile può essere l’appellativo di Milano come città d’acqua, al pari di Venezia. Acque sorgive, interiori l’una, immersa nell’elemento acqua, l’altra…

Qualità yin e yang nel paesaggio della città

Il forte legame con l’elemento acqua si mostra qui fisicamente, con la diffusa presenza d’acque sorgive, che dall’interiorità, in cui si sono sciolte scendendo dai monti, riaffioravano in superficie, scorrendo verso il mare. Incanalate in un complesso reticolo, circolavano in tutto l’organismo della città, alimentando la sua vita in tutti i sensi. Un carattere che la imparenta alla “città d’acqua” Venezia, che è invece immersa nella laguna, dove l’acqua dolce portata dai fiumi (Yang) si mescola a quella salata del mare (Yin), rigenerandosi quotidianamente.
Possiamo quindi immaginare Milano nascere in un paesaggio dalle qualità femminili yin, fecondo e fecondante, ricco di quelle acque che rappresentano il nostro inconscio, le nostre emozioni, la nostra stessa memoria cellulare (per sua natura l’acqua raccoglie e trasporta informazioni). Un luogo dove la presenza della Dea Madre doveva essere tangibile, senza asperità o secchezze, in perfetto equilibrio con l’impulso delle qualità maschili yang.
Equilibrio dato dall’incrocio di due forti correnti yang, che, nascendo dal Monte Resegone e dalla Catena del Monte Rosa, s’incontrano esattamente a novanta gradi dov’è ora Piazza della Scala, impregnando lo spazio di quella sacra alchimia che si manifesta quando le due forze primordiali dell’Universo s’incontrano nella danza della creazione. Un luogo dove, dicevamo, il Cielo si sposa alla Terra.

La fluidità negata

L’opera dell’uomo, quando agisce inconsapevolmente, staccato dalla comunione con la Natura, può però creare degli squilibri. Così è successo qui, con la chiusura successiva dei navigli, dei vari pozzi sorgivi e di quasi tutte le fonti sacre, provocando una “yanghizzazione”, cioè un eccesso di qualità maschili dello spazio energetico di questo luogo. Tutto questo ha una ricaduta sulla qualità della vita degli abitanti di Milano. L’operosità diviene frenesia e spasmodica ricerca del profitto fine a se stesso, la bellezza diviene vanità, la Moda crea abiti per una donna sempre più mascolinizzata per gratificare l’immaginario maschile. Tutto diventa merce e guadagno, tutto è quantizzato, misurato, organizzato, sezionato, logicamente calcolato. Sentimento, intuizione, generosità, sono relegati nella sfera della “debolezza” e dell’inutile, a svantaggio della collaborazione creativa.
Sorte comune è toccata a Venezia, che ha subito l’interramento di molti suoi canali e l’ancoramento forzoso alla terraferma, la costruzione di ponti “terrestri” sul Canal Grande (inizialmente c’era solo Rialto e si usavano le gondole per il traghettamento). Tutte opere che hanno portato al conseguente squilibrio delle qualità armoniche del suo paesaggio sacro.





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